Sempre
più spesso mi capita di parlare con amici e lettori dei vari titoli della linea
manga Coconino: da quelli gekiga a
quelli Cult, fino ai nuovi arrivati della collana DOKU. A emergere da queste
chiacchierate – ma anche da alcune conversazioni/recensioni che leggo sul web –
sono i giudizi e le perplessità sul finale di Utsubora di Nakamura
Asumiko. Sono fondamentalmente tre gli interrogativi o le domanda che mi
vengono poste:
1. Mi spieghi il
finale?
2. Che fine ha
fatto la studentessa scomparsa? Fujino Aki è mai esistita?
3. Chi è la ragazza
col caschetto?
Che
Utsubora sia un’opera complessa e
articolata è fuor di dubbio. Proprio per questo motivo, ogni singola tavola
andrebbe letta con molta attenzione: spesso, infatti, i piani narrativi e
temporali s’incrociano, i dialoghi si accavallano e si alternano a voci fuori
campo. Chi parla? Chi sta rivelando preziose informazioni al lettore? Come per
ogni giallo che si rispetti, anche Nakamura si preoccupa di inserire falsi
indizi pur di depistare il lettore. Qualsiasi certezza viene immediatamente
vanificata nel giro di pochissime pagine. Non c’è soltanto estetica in Utsubora. E non è vero che Utsubora sia un mero esercizio di stile.
Per quanto mi riguarda, Utsubora è
uno splendido giallo/noir disegnato divinamente.
Di
cosa parla Utsubora?
Dalla
pagine dell’editore Coconino si legge:
Uno scrittore di successo, una morte improvvisa e
un’accusa di plagio.
Quando Fujino Aki viene trovata morta e col volto
deturpato, sono soltanto due i contatti che la ragazza lascia sul suo
telefonino: Mizorogi Shun, un affermato scrittore reduce dal suo ultimo
successo letterario, il romanzo “Utsubora”, e Miki, una bellissima ragazza che
dice di essere sua sorella gemella e che le somiglia in maniera impressionante.
Mentre proseguono le indagini della polizia sulle
misteriose circostanze che hanno accompagnato quello che sembra essere a tutti
gli effetti un suicidio, i tasselli del puzzle che lega i personaggi iniziano a
sommarsi e sovrapporsi, tra flashback e falsi indizi. Affascinato da Miki, come
lo era stato dalla sorella morta, lo scrittore si trova smarrito in un
labirinto di passioni in cui affiorano i temi del riscatto, della vendetta, del
rapporto tra realtà e finzione, del doppio e dell’identità. Chi siamo
realmente? Fin dove si può arrivare per perseguire i propri obiettivi?
Ma
andiamo con ordine.
Mi raccomando, se non avete letto
il manga, allora, non proseguite nella lettura di questo post.
Se lo avete fatto e cercate conferme o risoluzioni
ai vostri dubbi, continuate pure a leggere.
Partiamo
dall’inizio. Nakamura imbastisce la trama partendo da uno dei temi classici del
giallo: il doppio. Si parla di due “occhi”, di due “visuali”, di due
gemelle, di due scrittori, di un “qui” e di un “altrove”, di soggettività e
oggettività.
I
personaggi principali sono: Mizorogi
Shun, il romanziere; Fujino Aki,
la ragazza lanciatasi dal palazzo; Miki
Sakura, la sorella gemella della ragazza suicida; e Akiyama Fujiko, una studentessa di letteratura di cui non si hanno
notizie da diversi mesi. Un uomo e tre donne.
Il cadavere
Iniziamo
subito col dire che non esiste nessuna Fujino Aki. La ragazza che si è
suicidata lanciandosi dal palazzo è in realtà Akiyama Fujiko, la studentessa
innamorata delle opere di Mizorogi. Già le somiglianze tra i nomi avrebbero
dovuto far nascere qualche sospetto (Fujino invece di Fujiko; Aki al posto di
Akiyama). Ad accorgersene per primo è Kaiba, uno dei due poliziotti che indagano
su questo caso:
Conosce
l’indirizzo di Miki Sakura? Le informazioni che ci ha dato l’altro giorno, compreso
indirizzo e numero di telefono, sono tutte false. Non c’è niente che
corrisponda a verità. Non esiste nessuna “Miki Sakura”. Mi stia a sentire,
Mizorogi. Non esiste alcuna prova della sua esistenza. Inoltre, lei non è stato
in grado di identificare il cadavere. Tutto ciò rende sospetta l’esistenza di
“Miki Sakura”. Al momento abbiamo soltanto il cadavere di una persona con la
testa spappolata. E non siamo in grado di stabilire chi sia. È tutto molto
strano. Non c’è un solo indizio che possa confermarne l’identità. La persona
che è morta è davvero “Fujino Aki”? “Fujino Aki” è mai realmente esistita? In
caso contrario, chi è “Miki Sakura” che afferma di essere la sua gemella? (…)
Chi diavolo è quella ragazza? (pp.66-69; vol.1)
Ed è sempre
Kaiba a rivelare a Mizorogi le sue perplessità: “E se invece Fujino Aki e Miki
Sakura fossero la stessa persona?” (p.129; vol.1). In altre parole, dietro
queste due “identità fittizie” si nasconderebbe una medesima persona. Inoltre
Kaiba intuisce che il cadavere sfigurato potrebbe essere quello della
studentessa scomparsa (p.130; vol.1). Il cellulare ritrovato sulla scena
dell’incidente, infatti, era regolarmente intestato a lei. Nessuno, però,
sembra dargli retta. Nemmeno il suo capo Mochizuki.
Kaiba, però, cerca di scoprire
il mistero e rivolge a Mizoragi la fatidica domanda:
In cosa si somigliano
Fujino Aki e Miki Sakura? Ci sono dei momenti in cui le sembra di rivivere
situazioni avvenute in passato? Soltanto lei può affermare che “lei” sia in
realtà “loro”(p.131; vol.1).
In effetti, Mizorogi non nasconde una certa
perplessità. “Tu e Aki siete identiche” (vol.2, p.37). Miki Sakura le ricorda
in tutto e per tutto Aki, non solo fisicamente. Entrambe gli rivolgono le medesime
frasi (“Si tolga dal viso quell’espressione così impaurita”; vol.1: p.51,
p.115, p.131) ed entrambe sembrano conoscere molte cose che lo riguardano. Oltretutto,
Mizorogi è convinto di aver già stretto tra le sue braccia il corpo di Sakura
(vol.2 p. 52). La stessa Sakura, in un momento di sconforto, arriva a dire:
“Forse Aki non è mai esistita. È stato solo un mio sogno… un prodotto della mia
fantasia” (vol.1; p. 87). E più avanti: “Aki non esiste. In realtà sin
dall’inizio… Aki… (vol.2, p.57)”.
Il
plagio
Sono in molti a
dubitare che Utsubora sia stato
scritto da Mizorogi. In primis il suo amico e collega Yatabe (vol. 1, p.145;
vol.2, pp. 21-25), il quale arriva a pensare che dietro la genesi dell’opera ci
sia in realtà il nuovo editor di Mizorogi: Tsuji, anche lui fan dello
scrittore. A dubitare più di tutti, però, è proprio Tsuji. Lui, infatti, ha la
prova che Utsubora sia un plagio: nel
cassetto della sua scrivania conserva una copia del racconto in questione
firmata da Fujino Aki (vol.1, pp.41-42).
In effetti erano due le copie di Utsubora spedite in redazione: quella
inviata da Miki Sakura (vol.2, p.59) e quella inviata da Akiyama Fujiko (vol.2,
p.59). Una di queste era finita nelle
mani di Tsuji (vol.2, pp.79-83) che, conscio delle potenzialità dell’opera,
aveva pensato di escluderla dal concorso per pubblicarla in maniera
indipendente. Il suo scopo era mettersi in contatto l’autrice, fare qualche
modifica al testo e allo stile narrativo (vol.2 pp.80-83). L’altra copia, invece, era finita nelle mani di Mizorogi. Lo
scrittore era ossessionato da questa “Fujino Aki”, una fan che gli scriveva in
continuazione e che gli inviava i suoi racconti
nella speranza che lui potesse leggerli e apprezzarli (vol.2, pp.177-178). Ne
era innamorata al punto da tappezzare le pareti del proprio appartamento con
ritagli di giornali e sue foto (vol.2. p.68). Una stalker, insomma. Un giorno
Mizorogi si trova nella redazione della propria casa editrice e scorge – nella
pila di manoscritti inviati per un concorso per giovani scrittori – una busta ancora
sigillata con il nome di Fujino Aki. Decide così di rubarla (vol.1, pp.99-100;
vol.2, p.179). Il contenuto era “Utsubora”.
Mizorogi decide di pubblicare quel racconto a suo nome: ne mantiene il titolo, i personaggi e la struttura narrativa. Fa
soltanto qualche modica al finale (vol.1 p.188; vol.2 p.242). Il racconto viene poi pubblicato sulla rivista “Cinguettii”, riscuotendo un notevole successo. A
Mizorogi viene chiesto di trasformarlo in un romanzo.
Arriva,
poi, il fatidico faccia a faccia con Fujino Aki. Mizorogi la incontra a una
festa organizzata dalla sua casa editrice. Lei si presenta e lui rimane di stucco:
“Si tolga dal viso quell’espressione così impaurita”, gli dice lei. Per la
prima volta Mizorogi si ritrova davanti alla sua stalker (in realtà si tratta di Miki Sakura, ma lui questo ancora non lo sa), la ragazza a cui
aveva “rubato” il racconto (vol.1, p.14; vol.2 p.73). Bloccato nel processo creativo, però, Mizorogi diviene totalmente dipendete da lei ed è disposto a tutto pur di ottenere i
capitoli del romanzo.
Il rapporto tra Miki Sakura e
Akiyama Fujiko
Quando
Miki Sakura parla per la prima volta con Mizorogi, gli rivela un particolare
degno di nota. Dopo il divorzio dai genitori, le due sorelle si erano perse di
viste per poi ritrovarsi accidentalmente in una biblioteca (vol.1; p.34). In
effetti, è proprio in una biblioteca che s’incontrano le due ragazze. L'incontro, però, non avviene tra le due sorelle, ma tra Akiyama Fujiko, studentessa di letteratura, e la
“fantomatica” Miki Sakura (vol.2; pp.8-9). Come si è già detto, Akiyama Fujiko era
ossessionata da Mizorogi, ma era troppo timida per affrontarlo di persona. Ed
ecco che entra in scena lei, Miki Sakura (vol.2 p.73). In realtà, Miki Sakura
era una ex impiegata di un’importante compagnia di assicurazioni sulla vita,
accusata di appropriazione indebita di denaro (vol.2 p. 160). Dopo essersi sottoposta a un intervento di chirurgia facciale, assume l’aspetto di Miki Sakura. Successivamente, accompagna in quella clinica
anche Akiyama Fujiko sottoponendola al suo stesso intervento. Tra le
cartelle cliniche del medico, infatti, risulta anche quella di una paziente - a
nome Akiyama Fujiko – con diversi interventi al viso e al corpo (vol.2, p.134).
Nella mente di Sakura, Akiyama doveva diventare la sua perfetta copia. Tra le
due si instaura un rapporto carnale e morboso. Adesso che sono identiche
(vol.2 pp.222-223) possono prendere l’una il posto dell’altra.
Ed è proprio Miki Sakura a dire ad Akiyama: “Da
questo momento in poi, tu sarai Fujino Aki” (vol.2 p.223). Akiyama, però,
incontra Mizorogi una volta soltanto, in un appartamento buio
(vol.2 p.224). Lo ricorda anche Mizorogi quando afferma: “La notte in cui ho
incontrato Aki per l’ultima volta, la stanza era completamente buia. (…) Avevo
provato a chiamarla, a sfiorarla con le mani. Il suo braccio era più caldo del
solito” (vol.2 p.167)”. Lo realizza definitamente nell’ultimo capitolo quando,
rivolgendosi a Sakura, dice: “Tu non hai scritto Utsubora. Ho incontrato l’autrice di Utsubora soltanto una volta” (vol.2 p.221). Ovviamente si riferisce
a quell'incontro nella stanza buia con Akiyama/Fujino.
Il suicidio
Prima
di lanciarsi nel vuoto, Akiyama/Fujino fa una telefonata alla sua
amica/compagna Sakura (vol.1 p.174):
Ti
ho spedito un pacco. Lo troverai in un appartamento di cui non ti avevo mai
parlato. Lì ci sono alcune cose per te. Vorrei che le prendessi. (…) Ti
ringrazio. Grazie a te ho capito tutto. Ho compreso ciò che volevo realmente.
(vol.2 p.170).
È
facile intuire che tra le “cose” lasciate a Sakura ci fossero anche i capitoli
di Utsubora (vol. 1 pp.89-91): gli
stessi capitoli con i quali Sakura ricatterà Mizorogi nel corso dei due volumi.
Perché Akiyama/Fujino si era suicidata? Fondamentalmente perché aveva capito
che Mizorogi non l’avrebbe mai potuta amare:
Amavo
Mizorogi. Amavo le sue opere. Volevo diventare come lui. Volevo essere amata da
lui. Però lui non amava nessuno. Gli scrittori amano soltanto le proprie opere.
Per questo, sono sicura che lo farà. Mizorogi scrivera “di me”. (vol. 2 p.198).
Con
la sua morte, Akiyama avrebbe fatto parte di un’opera di Mizorogi. Solo così lui
l’avrebbe finalmente amata. Il romanzo Utsubora
diventa così:
…
la storia di una donna che si innamora di un uomo e pur di ottenere il suo
amore è disposta a tutto, anche a subire una trasformazione (vol.2, p.242).
Esattamente
come Akiyama, la ragazza che si era sottoposta a un’operazione chirurgica pur di
assomigliare alle protagoniste dei romanzi del suo amato scrittore. Dal canto
suo, Sakura Miki non aveva fatto altro che esaudire il desiderio della sua
amica/amante. Forse si sentiva in colpa per aver spinto Akiyama al suicidio.
Ecco perché vuole trasformare Utsubora
in un romanzo con Mizorogi (vol.1 p.198); vuole che lui lo scriva fino all'ultimo capitolo (vol.2 pp.193-194), ma soprattutto vuole che in questo romanzo lui parli di “lei” (vol.2 p.196; pp.226-227). Come ricorda Sakura nelle pagine finali:
“non sono io l’autrice. Sono solo un personaggio della storia” (vol.2 p.244).
Mizorogi scriverà così di Akiyama e amerà la sua
opera; per proprietà transitiva, Akiyama si sentirà amata poiché finalmente era diventata la protagonista di un romanzo di Mizorogi.
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