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venerdì 4 marzo 2016

"Benkei in N.Y." di Taniguchi Jirō e Mōri Jinpachi



Autori: Taniguchi Jirō e Mōri Jinpachi
Anno di pubblicazione: 1991
Numero di volumi: 1
Edizione consultata: Big Comic Special
Editore: Shōgakukan

L’intera produzione a fumetti di Taniguchi Jirō (n.1947) può essere grossomodo suddivisa in due macro-aree tematiche. Il primo gruppo – che potremmo azzardarci a definire “Anima” – riunisce una serie di opere introspettive, pacate e a tratti poetiche, spesso incentrate sul rapporto uomo-natura, sul silenzio e sul passato che ritorna. Il secondo gruppo – che invece potremmo definire “Corpo” – racchiude il lato oscuro della natura umana, quello legato alla fisicità, alla crudeltà e alla violenza.
In Occidente, Taniguchi ha avuto un riscontro più che positivo grazie a un manga intimista come Aruku hito (L’uomo che cammina, 1990), un’opera non a caso definita da Giorgio Amitrano come “esempio di una raffinatezza estetica del silenzio”. Il gruppo “Corpo”, invece, ha faticato a imporsi in Europa (in particolar modo in Francia e in Italia), probabilmente a causa di un’immagine ormai cristallizzata dell’autore, sempre più spesso definito come il poeta che osserva e contempla in rigoroso silenzio. La violenza, il sangue e l’eros - tanto presenti nelle opere del secondo gruppo - sembrano invece offrire un ritratto diverso del mangaka, meno empatico e profondo, ancor meno rassicurante. Eppure non bisogna affatto dimenticare che in Giappone il nome di Taniguchi è spesso collegato a storie hard boiled o ambientate nel mondo della boxe. Mi riferisco a titoli come Jikenya kagyō (Trouble is my business, 1979), Ao senshi (Il guerriero blu, 1980) o Knuckle Wars (1988), tutti titoli sceneggiati da altri autori.
A questa stessa categoria appartiene anche Benkei in Ney York, pubblicato dal 1991 al 1995 sulle pagine di «Big Comic Original». Si tratta di una raccolta di sette storie ambientate per lo più in America (il racconto “Sword Fish”, invece, ha come sfondo la Sicilia, tra i soliti luoghi comuni, mafia e improbabili nomi di persona) e aventi come protagonista Benkei, un giapponese che si guadagna da vivere falsificando quadri d’autore o accettando vendette su commissione. I sette racconti, sceneggiati da Mōri Jinpachi (1958-2015), convincono, però, soltanto a metà, forse perché troppo brevi e prevedibili per riuscire ad appassionare il lettore. In più, si ha come l’impressione di avere a che fare con “maschere” piuttosto che con personaggi - seppur disegnati - dotati di una propria anima. L’unica eccezione è rappresentata da “Haggis”, una storia che sembra una riscrittura moderna del mito di Tereo, il re di Tracia a cui, per vendetta, era stata fatta mangiare la carne del proprio figlio.
Dal canto suo, Taniguchi cerca di imporsi sulla sceneggiatura con uno stile asciutto e algido, poco espressivo nei volti ma attento ai dettagli, alle citazioni (viene omaggiato Shining e la famosa scena della porta sfondata a colpi d’accetta) e alla composizione delle tavole. Il chiaroscuro e i contrasti cromatici evocano alla perfezione le atmosfere da film noir d’altri tempi, rendendo al contempo realistici gli scenari metropolitani newyorkesi.
A conti i fatti, però, Benkei in New York non spicca di certo nella produzione di  Taniguchi, non convince e non appassiona del tutto, si lascia leggere senza restare però impresso nella memoria. Nonostante il successo all’estero di Taniguchi abbia spinto molte case editrici giapponesi a ristampare i suoi vecchi titoli, Benkei in New York non è mai riapparso nelle librerie. A oggi, si ricorda un’unica edizione in formato monografico pubblicata, ormai vent’anni fa, da Shōgakukan.


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