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giovedì 17 luglio 2014

"Kaze no yukue" di Satonaka Machiko



Autore: Satonaka Machiko
Anno di pubblicazione in volume: 1978
Numero volumi: 2
Edizione consultata: Young Lady KC Deluxe
Editore: Kōdansha

Mi sono avvicinato a questo manga di Satonaka Machiko (n.1948) con grande curiosità e interesse. Non tanto per il titolo a suo modo suggestivo (“Kaze no yukue”, ovvero “Le tracce del vento”), quanto, più banalmente, per le belle illustrazioni usate per le copertine. Altro motivo che mi ha spinto all’acquisto è stato il desiderio di scoprire quali temi e quali modalità narrative avrebbe adottato l’autrice per rivolgersi a un pubblico di giovani donne. Non dimentichiamoci che al momento della serializzazione di questo manga su «Shūkan Young Lady», l’autrice aveva ventisei anni e condivideva con le lettrici le stesse istanze e problematiche. Come avrebbe raccontato i tormenti delle sue protagoniste? Per alcune mangaka (su tutte Ide Chikae e Hanabusa Yōko) il salto dallo shōjo manga al ladies comics aveva rappresentato un momento di stasi o una parentesi non troppo felice, professionalmente e commercialmente parlando; per altre, invece, (si pensi a Maki Miyako e a Watanabe Masako) il passaggio era stato “indolore”, molto più convincente sia sul piano narrativo che formale. La Satonaka, pur non abbandonando il territorio dello shōjo manga, aveva deciso di cimentarsi con i ladies comics, affrontando un nuovo pubblico e - si presuppone - un nuovo linguaggio. Come mai questa scelta così azzardata nonostante fossero gli anni in cui furoreggiavano i suoi manga per fanciulle?
Leggendo Kaze no yukue (Le tracce del vento, 1974), però, si avverte una continua sensazione di déjà vu con altri suoi shōjo manga, come se la Satonaka non avesse voluto separare i “due mondi”. Di certo cambia l’età della protagonista, ma le atmosfere, i patemi d’animo e perfino gli strazianti drammi sono sempre gli stessi. In quegli anni, molti fumetti per ragazze si concludevano con un lieto fine, con le nozze o con una promessa di matrimonio. Le vicende di Kaze no yukue prendono il via proprio da questa promessa, quando la protagonista Shōko è tutta presa dai preparativi per la nuova casa, dall’acquisto degli arredi e perfino di un televisore a colori. A pochi giorni dal fatidico sì, riceve una telefonata dal suo fidanzato e promesso sposo: Shinya - questo è il nome del ragazzo - le comunica la sua decisione di annullare il matrimonio e di allontanarsi da lei, dalla sua  famiglia e dai suoi affetti. Il “tutto è bene quel che finisce bene”, quasi implicito nei finali degli shōjo manga, sembra essere soltanto una favola, un’illusione. Shōko però non si perde d’animo e grazie a una agendina con nomi e numeri di telefono, inizia a cercare risposte dai conoscenti e amici di Shinya. Scoprirà verità e menzogne, relazioni segrete, abitudini e comportamenti che difficilmente avrebbe associato al suo fidanzato. Poi, l’amara scoperta e il fatidico rincontro. 
I due volumi della serie ospitano anche una breve storia dal titolo Jūjika no ai (Un amore sofferto), pubblicato nel 1970 sempre sulle pagine di «Shūkan Young Lady». Sia Jūjika no ai  che Kaze no yukue propongono una visione tragica dell’amore, triste e asfissiante, con protagoniste totalmente incapaci di vivere la propria vita senza la presenza di un uomo. In Kaze no yukue, Shōko si identifica con un “filo d’erba senza radici”, in perenne attesa del vento (l’uomo); in Jūjika no ai, Mari è innamorata - peraltro ricambiata - di suo fratello minore, ed è disposta anche al sacrificio più estremo pur di dimostrarglielo: quando lui si toglierà la vita, anche lei lo seguirà  nella morte. 
Satonaka Machiko ha spesso scelto per i suoi fumetti donne forti, determinate e accecate da un’irrazionale furia amorosa. In alcuni casi è riuscita a dare vita a personaggi convincenti e per nulla stereotipati (si pensi ai ritratti femminili in alcune sue opere come Ashita kagayaku e Asunarozaka); altre volte, invece, ha calcato un po’ troppo la mano con personaggi poco credibili, al limite della caricatura. Purtroppo, è il caso di questi due racconti. Se Kaze no yukue può contare su un disegno gradevole anche se non troppo accurato, Jūjika no ai è acerbo e inutilmente tragico. Se si considera, però, che è un’opera degli esordi, allora, è possibile chiudere un occhio. Diverso, invece, il giudizio su Kaze no yukue. Nonostante le buone premesse, l’autrice si impantana in una serie infinita di cliché e colpi di scena, in un susseguirsi di lacrime, rimorsi e autocommiserazione. Il lettore segue le vicende facendo affidamento ai continui flussi di coscienza della protagonista, ai suoi tormenti interiori e ai suoi dubbi: “Dove sei andato? Perché sei scappato da me? E’ stato soltanto un sogno la vita che abbiamo vissuto insieme? Come il vento ti sei allontanato da me. Ti prego torna di nuovo e avvolgi con gentilezza il mio cuore”. Le ultime pagine regalano un finale interessante e per certi versi inaspettato, quasi un sollievo per il lettore dopo una lettura non proprio entusiasmante. 




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