Autore: Satō Masaaki
Anno di pubblicazione: 1963
Numero di pagine: 75
Edizione consultata: Maboroshi no kashihon manga daizenshū
Editore: Bungei Shunjū
Nel 1957 un giovane disegnatore di nome Tatsumi Yoshihiro (n.1935) avverte la necessità di dar vita a una nuova tipologia di fumetto in contrasto con il modello proposto da Tezuka Osamu (1928-89). In altre parole, un fumetto più introspettivo e per nulla umoristico, meno commerciale e con più pretese intellettualistiche, più realistico nella rappresentazione delle storie e degli svolgimenti. Ma soprattutto, un fumetto che si rivolgesse a un pubblico adulto e non di bambini. Conia addirittura un termine che conoscerà un’enorme diffusione negli anni a seguire, «gekiga», letteralmente “immagine drammatica”, ma anche fumetto “violento, d’azione”. Non più manga, ma gekiga, come se si parlasse di due generi narrativi differenti. Poi, insieme con alcuni amici di vecchia data (anche loro aspiranti fumettisti) che rispondono al nome di Saitō Takao (n.1936) e Satō Masaaki (1939-2004) gettano le basi del gekiga, ideando e cementando le linee portanti - a livello narratologico e grafico - di ciò che diventerà un vero e proprio boom editoriale. La diffusione di queste opere avviene grazie alle kashihonya (negozi di libri a prestito) diffusissime nella regione del Kansai, dove peraltro sono nati e cresciuti gli artisti di cui sopra. Ma se l’Occidente ha avuto modo di conoscere e apprezzare il lavoro di Tatsumi Yoshihiro (si pensi a Gekiga Hyōryū – A drifting Life) e di Saitō Takao (con il suo longevo Golgo 13), non si può dire lo stesso per Satō Masaaki.
Il suo debutto nel mercato delle librerie a prestito avviene nel 1955 con una storia che presenta fin da subito un scenario che diventerà familiare per i suoi lettori. Non a caso il suo nome viene spesso associato alla nascita del genere hard boiled, con quei personaggi intrisi di morale nichilista e disposti a tutto per il denaro. La sua opera più famosa rimane ancora oggi Kuroi kizuato no otoko (L’uomo dalla cicatrice nera, 1961) - storia che ha molto in comune con il manga oggetto di analisi in questo post -, ma non bisogna dimenticare il notevole Dabide no hoshi (La stella di David, 1971-76), una storia che coniuga violenza e sesso nel ritratto di un uomo, Jinnō Tatsuya, che a suo modo cerca un riscatto per i torti subiti. Alla ricerca di un riscatto per la triste infanzia è anche il protagonista di Minagoroshi no uta (Canzone per un massacro, 1963), un racconto di appena 75 pagine, ma gestito con innata abilità grazie a una storia avvincente, in bilico tra presente e passato.
Kyōji è uno spietato killer a pagamento che indossa un elegante completo con giacca e cravatta, un cappello e un paio di guanti bianchi. Le prime pagine del fumetto lo mostrano ai lettori in piedi su un rupe, con un fucile in mano, in attesa di qualcuno. I fari di una macchina si avvicinano, il mirino punta alla ruota e il veicolo fa un giro su se stesso. La vittima è il Primo Ministro giapponese Iwanuma che muore sotto i colpi del fucile insieme con il suo autista. Il mandante, disposto a pagare qualsiasi cifra, è il rivale del Primo Ministro, colui che potrebbe prenderne il posto. Ma nonostante ogni cosa sembri essere ormai risolta, l’uomo nutre dei dubbi sul silenzio di Kyōji a tal punto da assoldare nuovi killer per ucciderlo. Ma Kyōji si sente invincibile proprio perché a legarlo al mondo non esiste nessuno, si sente un’anima libera, incapace di provare affetto per qualcuno. E anche se trova l’amore con una ragazza che lavora come hostess in un locale, è totalmente indifferente alle sue richieste, deciso come è a camminare da solo per la propria strada. Dopotutto, la persona che avrebbe dovuto proteggerlo e amarlo incondizionatamente, sua madre, è stata la prima ad abbandonarlo al suo destino. Ma come da copione, ciascun eroe ha un punto debole e l’incontro con un bambino, figlio della sua ultima vittima, potrebbe rappresentare il capolinea della sua esistenza.
Invidiabile nella sua struttura narrativa e nel suo disegno che si adagia su linee semplici ma ben definite, Canzone per un massacro si legge allo stesso modo con cui si guarderebbe un film grazie al dinamismo delle scene, ai colpi di scena, agli inseguimenti, alle pose plastiche del protagonista che ricorda tanto James Bond. E poi la scena, memorabile, di un’esecuzione nei pressi di una stazione ferroviaria, con un colpo di pistola sparato al passaggio di un treno merci.

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