Autore: Yamada Naito
Anno di prima pubblicazione: 1996
Numero di volumi: 1
Edizione consultata: Shōgakukan Creative (2009)
Editore: Shōgakukan
Yamada Naito (n.1965)
è una di quelle poche autrici che leggo sempre con rinnovato piacere. Sin dagli
esordi ha dimostrato di possedere una notevole poliedricità, sviluppando con
gli anni un talento sorprendentemente originale nella tecnica narrativa oltre
che artistica. A primo impatto, il lettore può trovarsi disorientato di fronte
ad alcune sue opere, frastornato da quei continui aggrovigliarsi di corpi. Si
pensi, ad esempio, alle raccolte Ero
Mara – Les maladies érotiques (1996)
o Les aventures de Miou
Miou (1998) in cui è palese un interesse –
fin troppo morboso – nei confronti delle pulsioni erotiche e dei comportamenti sadomasochistici. Si tratta di una banale voglia di
scandalizzare, oppure si nasconde il tentativo di sviscerare paure e tristezze
dell’animo umano? A prescindere dalla lunghezza e dalla complessità delle
trame, Yamada Naito ha sempre cercato di puntare i riflettori su un’umanità
posta ai margini della società, affidandosi a figure perennemente in fuga da un
passato o da un trauma da dimenticare. Un cast di outsider (vecchi balordi, megere, sadici,
adolescenti perversi, giovani prostitute, assassini) presentati al lettore
senza la minima pretesa di volerli condannare o giustificare. Certo, non
mancano le figure positive e solari, ma per Yamada Naito non solo altro che
semplici comparse, brevi attimi di respiro in una narrazione claustrofobica.
Queste
considerazioni sono ampiamente condivisibili per i personaggi di Kazoku seikatsu (Vita familiare), un’opera apparsa in
maniera irregolare tra il 1996 e il 1998 sulle pagine di «Weekly Manga
Action», la stessa rivista che l’anno prima aveva ospitato il controverso Raman (L’amant)[1].
In Kazoku seikatsu - pubblicato per la prima volta in
volume nel 2009 - l’autrice aveva temporaneamente messo da parte
“l’educazione sessuale” delle ragazze, preparandosi a scandalizzare il pubblico
con una storia inquietante e priva di qualsiasi morale.
I protagonisti, Hashio e
Kikuo, sono due uomini talmente innamorati l’uno dell'altro da voler formare
una famiglia. Non potendolo fare legalmente come tutte le coppie eterosessuali,
Hashio decide di adottare Kikuo registrandolo nel proprio stato di famiglia. A
questa coppia, però, manca ancora qualcosa per sentirsi un vero “nucleo familiare”. Approfittando di un incendio divampato in un ospedale, i due sottraggono una neonata e fuggono via tra il disordine generale. Da allora, sono passati dodici anni e quella
bambina (Hina) si è trasformata in una giovane e scaltra ragazzina. A lei non
sembra importare nulla del proprio passato, anzi, accetta di buon grado questa
famiglia che l’ha sempre amata e protetta. Il rapporto tra i tre non è proprio
ortodosso, ma la coesione e l’affetto sono talmente forti che Hina non
manifesta alcuna voglia di scappare via o di cercare la madre. Anzi, quando
il passato bussa alla sua porta, lei non esita un attimo a sbarazzarsene pur di
mantenere intatto il legame, ormai indissolubile, con i suoi due papà. Braccati
dai sensi di colpa e dalla paura di essere scoperti, i tre si mettono in viaggio
alla disperata ricerca di un’oasi di pace. Prima Tōkyō, poi Bruxelles e infine
Barcellona.
Da un punto di vista
artistico, Kazoku seikatsu ci restituisce
una Yamada Naito più minimale, ancora poco avvezza all’uso del pc. Le linee
morbide usate per i corpi femminili dalle labbra carnose e dai seni floridi, si
contrappongono a quelle spigolose e nette dei corpi maschili, emaciati,
snervati quasi deboli. Ulteriore contrasto è dato poi dall’uso di ampie
campiture nere o bianche, a seconda degli stati d’animo dei protagonisti. Spesso, infatti, vengono usate come spazio in
cui raccontare i tormenti o le sensazioni della giovane Hina.
Da un punto di vista narrativo, è innegabile che a emergere sia il tema del “nucleo familiare”. La famiglia “tradizionale” esce un po’ ammaccata da questa storia, con figure paterne irresponsabili e vigliacche; mentre la famiglia omogenitoriale formata da Hashio e Kikuo - nonostante le colpe e le menzogne - è l’unica che riesce a desiderare e amare incondizionatamente un figlio. Nel manga di Yamada Naito, però, non c’è un vero e proprio interesse a esaltare il modello di una famiglia omogenitoriale che, al contrario, ci viene presentata in maniera acritica e lontana da qualsiasi idealizzazione: un semplice pretesto narrativo, efficace e convincente. L’ultimo capitolo lascia il lettore con un grande punto interrogativo, privandolo di un vero e proprio finale. Cosa è realmente una famiglia? Secondo Kikuo, il termine “famiglia” è soltanto un altro modo per dire “complici”. E i tre, più che mai, possono considerarsi tali. Sia nel crimine che nell’affiatamento. In effetti, queste parole di Hina sembrano confermarcelo: le notti in cui non riusciamo a prendere sonno, ci addormentiamo tutti e tre abbracciandoci l’uno con l’altro. Affinché nessuno si alzi dal proprio letto. Affinché nessuno scompaia nelle tenebre della notte.
Da un punto di vista narrativo, è innegabile che a emergere sia il tema del “nucleo familiare”. La famiglia “tradizionale” esce un po’ ammaccata da questa storia, con figure paterne irresponsabili e vigliacche; mentre la famiglia omogenitoriale formata da Hashio e Kikuo - nonostante le colpe e le menzogne - è l’unica che riesce a desiderare e amare incondizionatamente un figlio. Nel manga di Yamada Naito, però, non c’è un vero e proprio interesse a esaltare il modello di una famiglia omogenitoriale che, al contrario, ci viene presentata in maniera acritica e lontana da qualsiasi idealizzazione: un semplice pretesto narrativo, efficace e convincente. L’ultimo capitolo lascia il lettore con un grande punto interrogativo, privandolo di un vero e proprio finale. Cosa è realmente una famiglia? Secondo Kikuo, il termine “famiglia” è soltanto un altro modo per dire “complici”. E i tre, più che mai, possono considerarsi tali. Sia nel crimine che nell’affiatamento. In effetti, queste parole di Hina sembrano confermarcelo: le notti in cui non riusciamo a prendere sonno, ci addormentiamo tutti e tre abbracciandoci l’uno con l’altro. Affinché nessuno si alzi dal proprio letto. Affinché nessuno scompaia nelle tenebre della notte.
[1] Per
ulteriori informazioni su questo titolo:
http://unastanzapienadimanga.blogspot.it/2011/12/lamant-raman-di-yamada-naito.html




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