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venerdì 6 marzo 2015

"Kazoku seikatsu" di Yamada Naito


Autore: Yamada Naito
Anno di prima pubblicazione: 1996
Numero di volumi: 1
Edizione consultata: Shōgakukan Creative (2009)
Editore: Shōgakukan

Yamada Naito (n.1965) è una di quelle poche autrici che leggo sempre con rinnovato piacere. Sin dagli esordi ha dimostrato di possedere una notevole poliedricità, sviluppando con gli anni un talento sorprendentemente originale nella tecnica narrativa oltre che artistica. A primo impatto, il lettore può trovarsi disorientato di fronte ad alcune sue opere, frastornato da quei continui aggrovigliarsi di corpi. Si pensi, ad esempio, alle raccolte Ero Mara – Les maladies érotiques (1996) o Les aventures  de Miou Miou (1998) in cui è palese un interesse – fin troppo morboso – nei confronti delle pulsioni erotiche e dei comportamenti sadomasochistici. Si tratta di una banale voglia di scandalizzare, oppure si nasconde il tentativo di sviscerare paure e tristezze dell’animo umano? A prescindere dalla lunghezza e dalla complessità delle trame, Yamada Naito ha sempre cercato di puntare i riflettori su un’umanità posta ai margini della società, affidandosi a figure perennemente in fuga da un passato o da un trauma da dimenticare. Un cast di outsider (vecchi balordi, megere, sadici, adolescenti perversi, giovani prostitute, assassini) presentati al lettore senza la minima pretesa di volerli condannare o giustificare. Certo, non mancano le figure positive e solari, ma per Yamada Naito non solo altro che semplici comparse, brevi attimi di respiro in una narrazione claustrofobica. 
Queste considerazioni sono ampiamente condivisibili per i personaggi di Kazoku seikatsu (Vita familiare), un’opera apparsa in maniera irregolare tra il 1996 e il 1998 sulle pagine di «Weekly Manga Action», la stessa rivista che l’anno prima aveva ospitato il controverso Raman (L’amant)[1]. In Kazoku seikatsu - pubblicato per la prima volta in volume nel 2009 - l’autrice aveva temporaneamente messo da parte “l’educazione sessuale” delle ragazze, preparandosi a scandalizzare il pubblico con una storia inquietante e priva di qualsiasi morale.
I protagonisti, Hashio e Kikuo, sono due uomini talmente innamorati l’uno dell'altro da voler formare una famiglia. Non potendolo fare legalmente come tutte le coppie eterosessuali, Hashio decide di adottare Kikuo registrandolo nel proprio stato di famiglia. A questa coppia, però, manca ancora qualcosa per sentirsi un vero “nucleo familiare”. Approfittando di un incendio divampato in un ospedale, i due sottraggono una neonata e fuggono via tra il disordine generale. Da allora, sono passati dodici anni e quella bambina (Hina) si è trasformata in una giovane e scaltra ragazzina. A lei non sembra importare nulla del proprio passato, anzi, accetta di buon grado questa famiglia che l’ha sempre amata e protetta. Il rapporto tra i tre non è proprio ortodosso, ma la coesione e l’affetto sono talmente forti che Hina non manifesta alcuna voglia di scappare via o di cercare la madre. Anzi, quando il passato bussa alla sua porta, lei non esita un attimo a sbarazzarsene pur di mantenere intatto il legame, ormai indissolubile, con i suoi due papà. Braccati dai sensi di colpa e dalla paura di essere scoperti, i tre si mettono in viaggio alla disperata ricerca di un’oasi di pace. Prima Tōkyō, poi Bruxelles e infine Barcellona.


Da un punto di vista artistico, Kazoku seikatsu ci restituisce una Yamada Naito più minimale, ancora poco avvezza all’uso del pc. Le linee morbide usate per i corpi femminili dalle labbra carnose e dai seni floridi, si contrappongono a quelle spigolose e nette dei corpi maschili, emaciati, snervati quasi deboli. Ulteriore contrasto è dato poi dall’uso di ampie campiture nere o bianche, a seconda degli stati d’animo dei protagonisti.  Spesso, infatti, vengono usate come spazio in cui raccontare i tormenti o le sensazioni della giovane Hina. 
Da un punto di vista narrativo, è innegabile che a emergere sia il tema del “nucleo familiare”. La famiglia “tradizionale” esce un po’ ammaccata da questa storia, con figure paterne irresponsabili e vigliacche; mentre la famiglia omogenitoriale formata da Hashio e Kikuo - nonostante le colpe e le menzogne - è l’unica che riesce a desiderare e amare incondizionatamente un figlio. Nel manga di Yamada Naito, però, non c’è un vero e proprio interesse a esaltare il modello di una famiglia omogenitoriale che, al contrario, ci viene presentata in maniera acritica e lontana da qualsiasi idealizzazione: un semplice pretesto narrativo, efficace e convincente. L’ultimo capitolo lascia il lettore con un grande punto interrogativo, privandolo di un vero e proprio finale. Cosa è realmente una famiglia? Secondo Kikuo, il termine “famiglia” è soltanto un altro modo per dire “complici”. E i tre, più che mai, possono considerarsi tali. Sia nel crimine che nell’affiatamento. In effetti, queste parole di Hina sembrano confermarcelo: le notti in cui non riusciamo a prendere sonno, ci addormentiamo tutti e tre abbracciandoci l’uno con l’altro. Affinché nessuno si alzi dal proprio letto. Affinché nessuno scompaia nelle tenebre della notte. 




[1] Per ulteriori informazioni su questo titolo:
http://unastanzapienadimanga.blogspot.it/2011/12/lamant-raman-di-yamada-naito.html

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