Autore: Egawa Tatsuya
Anno di prima
pubblicazione:
1998
Numero
di volumi:
6
Edizione
consultata:
SC Allman
Editore: Shūeisha
Continua a credere a una bugia.
Fallo fino alla morte, se questa
è la felicità che hai scelto.
(da: Deadman)
È il 1976 e le radio giapponesi
trasmettono la nuova hit delle Candies, Haru ichiban (Il primo
vento di primavera): “Tra poco sarà primavera, perché non lo inviti a
uscire? (…) Spogliati di quel pesante cappotto e prova a
uscire di casa. Tra poco sarà primavera, che ne dici di innamorarti?”. Al
suo ascolto, la liceale Morishima Reiko inizia a sfiorarsi il collo con una
penna, lì dove era stata morsa da un vampiro. I piccoli fori lasciati dalle
zanne si ingrandiscono a dismisura fin quasi ad assumere la forma di due
vagine. Quel morso diventa così la fonte di un piacere onanistico a cui la
ragazza non riesce a rinunciare. Ormai c’è poco da fare. Reiko è caduta nella
rete di Kurosawa Ryūichi, il tenebroso studente/vampiro proveniente
dall’Inghilterra. Soprannominato da tutti il “conte”, Kurosawa crea nella
classe un’atmosfera di tensione sessuale, incutendo soggezione agli insegnanti
e soggiogando col suo fascino le ragazze. Spinti dalla curiosità, Okada e
Kamijo – altri due studenti – iniziano a indagare sul suo conto, rimanendo
invischiati in una spirale di orrore e sesso che sembra non avere fine. Ma
all’improvviso, tutto cambia.
Pubblicato a puntate sulle pagine
della rivista seinen «SC Allman» a partire dal 1998, DEADMAN sembra voler condurre il lettore nei
classici scenari da film dell’orrore, tra morsi, sangue e vampiri. Proseguendo
nella lettura, però, ci si accorge che tutto questo non è che un pretesto per
permettere a Egawa Tatsuya (n.1961) di salire nuovamente in cattedra e prendere
la parola. Non manca nulla in quest’opera che non si sia già visto altrove, a
partire da Be free! (1984-88), passando per Golden boy (1992-97) e finire poi con Tōkyō daigaku monogatari (Storie dell’università di Tōkyō,
1992-2001). I personaggi delle storie diventano portavoce dell’autore, ne
rivendicano idee, pensieri e istanze; aprono dibattiti sulla natura e sulla
debolezza dell’uomo; si infiammano in accese discussioni tra sofismi e
maieutica. Egawa non risparmia critiche al sistema scolastico giapponese
(l’apprendimento nozionistico, la scarsa competenza del corpo docente, il
sistema degli esami di ammissione), ma lo fa con minor ferocia rispetto ad
altre opere, forse perché più interessato al tema del relativismo storico e della
manipolazione dei manuali scolastici. Dopotutto, la presenza del vampiro
millenario gli permette di confutare eventi del passato e mettere in
discussione le più incrollabili delle certezze.
Come sempre, però, Egawa spinge
troppo sul pedale dell’acceleratore e la storia ne risente. Troppe scene ad
alto contenuto erotico; corpi che trasudano di tutto e in eccesso (saliva,
sudore, liquidi seminali); troppi discorsi con citazioni colte tratte dall’Hōjōki (Ricordi di un eremo, 1212) di Kamo no
Chōmei (1155-1216). Dal terzo volume in poi, la storia sembra diventare ancor
più claustrofobica, "costretta" in un ambiente completamente buio (la
casa del vampiro) dove ha inizio una lunga chiacchierata tra flashback e
rivelazioni. Si ha come l’impressione di assistere a uno spettacolo teatrale
dall’inverosimile immobilità degli attori e dalla scenografia povera e scarna
(un semplice sfondo nero).
Ma al verboso e corrosivo Egawa,
tutto ciò non importa. Rispetto alle parole e al contenuto dei dialoghi, anche
il disegno passa in secondo piano. Nonostante non si possa negare l’eleganza di
alcune tavole e di alcune sequenze, nel complesso, il lavoro svolto con Deadman risulta essere troppo minimalista e
affrettato. Anche se in alcuni casi risulta particolarmente azzeccato il
contrasto cromatico tra le silhouette bianche e gli sfondi scuri (e viceversa)
(IMMAGINE 1), in altri sembra proprio che l’autore abbia deciso di non
disegnare gli sfondi per risparmiare tempo. Quando poi si rende necessario un
cambio di scena, ad esempio, Egawa si serve di fotografie piuttosto che di
disegni (IMMAGINE 2). Precisa scelta stilistica o semplice fretta
di consegna? Opterei per la seconda. Dopotutto, non bisogna dimenticare che in
quegli anni Egawa era impegnato su più fronti come nel già citato Tōkyō daigaku monogatari, ma anche con Rasuto man (The last man, 1998- 2001) e Madō tenshi Unpoko (L’angelo Unpoko, 1997-99). L'ossatura
di base della storia è notevole, ma Egawa non riesce a trovare il giusto
equilibrio tra svago e riflessione. Le dissertazioni sono talmente
invasive e dominanti da soffocare tutto il resto. Peccato.



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