Autore: Shinohara Chie
Anno di pubblicazione: 1984
Numero di volumi: 12
Edizione consultata: Flower
Comics
Editore: Shōgakukan
La storia di questo Yami no pāpuru ai (Occhi purpurei nelle
tenebre, 1984-87) può essere grossomodo suddivisa in due archi narrativi
distinti: la prima (volumi 1-6) è incentrata sulle vicende della giovane Rinko,
la seconda (volumi 6-12) è focalizzata sulle avventure della figlia di
quest’ultima, Mai. Il plot è piuttosto semplice. Rinko è una normale liceale come
tante, turbata però da un’improvvisa e inspiegabile attrazione per il sangue e
gli alimenti crudi. Quando un giorno subisce un tentativo di stupro da parte di
tre balordi, scopre di avere il potere di trasformarsi in un ghepardo e si
difende uccidendo i suoi aggressori. L’orrore per il gesto compiuto e la paura
di non saper nulla della propria natura (umana o animale?), la spingono inconsapevolmente
tra le braccia della perfida professoressa Sonehara. Scopertone il segreto, la
donna cerca in tutti i modi di catturarla per dimostrare alla comunità
scientifica l’esistenza di questi esseri umani mutaforma.
Il manga è una lotta continua tra Rinko e la Sonehara, tra inseguimenti e trappole, brutali omicidi e tentativi di violenze. La protagonista è affiancata dal classico amico d’infanzia – affettuosamente ribattezzato Shin-chan – e dal tenebroso Odagiri. La seconda parte del manga, invece, ha per protagonista Mai, la figlia di Rinko avuta da Odagiri, e la sua lotta contro nuovi (e vecchi) nemici, pronti a tutto pur di svelare il segreto della sua razza.
Con molta probabilità, Yami no pāpuru ai trae ispirazione, quantomeno nelle sue premesse iniziali, dal famoso film di Paul Schrader, Il bacio della pantera (Cat people, 1982), a sua volta remake di una pellicola omonima del 1942 diretta Jacques Tourneur. Il tema di base è lo stesso (esseri umani che si trasformano in pantere e ghepardi), così come anche qualche piccolo espediente narrativo (la variante incestuosa, il collegamento licantropia e sessualità, l’origine genetica alla base della trasformazione), ma per il resto le storie procedono su binari separati, narratologicamente e stilisticamente parlando. Purtroppo il manga di Shinohara Chie (nata il 15 febbraio di un anno imprecisato) non è esente da difetti, da cadute di stile e da bruschi passaggi tra un arco narrativo e l’altro. Il plot di partenza è di indubbio fascino, in bilico tra la suspense story e il genere horror, ma sfortunatamente viene sviluppato in maniera maldestra. Il tallone d’Achille di questa serie è proprio la struttura narrativa che si perde strada facendo, si annacqua e si ripete all’infinito. Soprattutto nella seconda parte, la Shinohara tenta la strada - non sempre facile e di sicuro successo - del “coup de théâtre” con risultati, ahimè, discutibili (personaggi creduti morti che ritornano all’improvviso, altri che vengono ibernati nei loro corpi da adolescenti pronti a essere “scongelati” dopo diversi anni, etc… ). Si sorride per alcune ingenuità narrative, si avverte una sensazione di déjà vu in diversi momenti della storia, ma tutto sommato, un lettore medio in cerca di svago non se la sente di abbandonare la lettura.
Il manga è una lotta continua tra Rinko e la Sonehara, tra inseguimenti e trappole, brutali omicidi e tentativi di violenze. La protagonista è affiancata dal classico amico d’infanzia – affettuosamente ribattezzato Shin-chan – e dal tenebroso Odagiri. La seconda parte del manga, invece, ha per protagonista Mai, la figlia di Rinko avuta da Odagiri, e la sua lotta contro nuovi (e vecchi) nemici, pronti a tutto pur di svelare il segreto della sua razza.
Con molta probabilità, Yami no pāpuru ai trae ispirazione, quantomeno nelle sue premesse iniziali, dal famoso film di Paul Schrader, Il bacio della pantera (Cat people, 1982), a sua volta remake di una pellicola omonima del 1942 diretta Jacques Tourneur. Il tema di base è lo stesso (esseri umani che si trasformano in pantere e ghepardi), così come anche qualche piccolo espediente narrativo (la variante incestuosa, il collegamento licantropia e sessualità, l’origine genetica alla base della trasformazione), ma per il resto le storie procedono su binari separati, narratologicamente e stilisticamente parlando. Purtroppo il manga di Shinohara Chie (nata il 15 febbraio di un anno imprecisato) non è esente da difetti, da cadute di stile e da bruschi passaggi tra un arco narrativo e l’altro. Il plot di partenza è di indubbio fascino, in bilico tra la suspense story e il genere horror, ma sfortunatamente viene sviluppato in maniera maldestra. Il tallone d’Achille di questa serie è proprio la struttura narrativa che si perde strada facendo, si annacqua e si ripete all’infinito. Soprattutto nella seconda parte, la Shinohara tenta la strada - non sempre facile e di sicuro successo - del “coup de théâtre” con risultati, ahimè, discutibili (personaggi creduti morti che ritornano all’improvviso, altri che vengono ibernati nei loro corpi da adolescenti pronti a essere “scongelati” dopo diversi anni, etc… ). Si sorride per alcune ingenuità narrative, si avverte una sensazione di déjà vu in diversi momenti della storia, ma tutto sommato, un lettore medio in cerca di svago non se la sente di abbandonare la lettura.
Nonostante queste
pecche, infatti, Yami no pāpuru ai si
continua a leggere bene anche a distanza di quasi trent’anni ed il merito è
tutto dello stile di disegno della Shinohara, a metà strada tra le
“spigolosità” degli anni Settanta e le “rotondità” degli anni Ottanta. Insomma,
uno stile garbato, elegante e per nulla stucchevole. Non stupisce, quindi, il
successo ottenuto da questa serie ai tempi della pubblicazione su «Shūkan Shōjo Komikku». Oltre a
rinverdire il filone dello shōjo
manga a tematica horror (un genere da troppi anni assente dalle riviste mainstream
per ragazze), proponeva alle sue lettrici un nuovo prototipo di eroina in cui specchiarsi,
forte e determinata, ma allo stesso tempo fragile e insicura. Era facile per le
shōjo di allora identificarsi in
Rinko, un’adolescente alle prese con il
primo amore e con i turbamenti legati alla sfera sessuale. Come spesso accadeva
(e accade tutt’oggi) nei manga pubblicati su «Shūkan Shōjo Komikku», anche in questo Yami no pāpuru ai il sesso
riveste un ruolo chiave. I riferimenti si sprecano e un lettore impreparato,
quindi, potrebbe porsi qualche legittima domanda: come mai in molti shōjo manga il primo approccio al sesso
deve necessariamente passare attraverso la paura e la violenza? Che sia un modo per
esorcizzarne il demone? Chissà…



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