Autori: Yoshi e Naka Masato
Anno di pubblicazione: 2005
Numero di volumi: 2
Edizione consultata: Young
Jump Comics
Editore: Shūeisha
Il primo posto nella top
ten dei libri più venduti in Giappone nel 2005 (sezione letteraria - bungei bumon) era occupato da Motto, ikitai… (Vorrei vivere di più…),
un romanzo scritto da un autore con un misterioso nom de plume, Yoshi. Si trattava di una classifica sicuramente
spiazzante per buona parte del bundan
(i circoli letterari), forse poco rassicurante e di difficile interpretazione:
i primi posti della top ten, infatti, erano occupati da romanzi scritti da
autori totalmente estranei al mondo letterario (Yoshi) e più vicini al mondo
dell’illustrazione (Lily Franky, n.1963) e del design (Shiraiwa Gen, n.1983). Gli
ultimi posti della classifica, invece, riconfermavano la popolarità di Murakami
Ryū (n.1952), Kakuta Mitsuyo (n.1967) ed Ekuni Kaori (n.1964), autori tra i più
rappresentativi della letteratura giapponese contemporanea, capaci di catturare le attenzioni di un pubblico giovane grazie a una prosa convincente, di
grande impatto emotivo, elegante, ma non per questo esclusiva. Insomma,
“scrittori di mestiere” battuti, però, nelle vendite da un perfetto
sconosciuto.
A ben vedere, Yoshi si era affacciato sulla scena letteraria già nel 2002 con Deep Love – Ayu no monogatari (Deep Love – Storia di Ayu), un romanzo completamente ignorato dalla critica e sbeffeggiato con cattiveria e sarcasmo dalle riviste di largo consumo. Al contrario, il riscontro del pubblico era stato senza precedenti, con milioni di copie vendute [1], serie televisive, film per il grande schermo e riduzioni a fumetti. Deep Love era diventato in breve tempo un fenomeno di culto tra i giovanissimi, nonché fonte di grandi e inaspettati guadagni per l’autore. Nonostante un intreccio narrativo discutibile e raffazzonato (un mix esagerato di sesso, buonismo e lacrime), Deep Love viene considerato il primo keitai shōsetsu al mondo, in altre parole, il primo romanzo scritto e letto attraverso l’utilizzo di un telefono cellulare. La prassi vuole che soltanto dopo il successo in rete, questi romanzi vengano poi pubblicati anche in formato cartaceo. La prima opera a beneficiare di questa doppia visibilità è stata Deep Love, seguita a ruota da Motto, ikitai…, una storia ascrivibile al genere horror.
A ben vedere, Yoshi si era affacciato sulla scena letteraria già nel 2002 con Deep Love – Ayu no monogatari (Deep Love – Storia di Ayu), un romanzo completamente ignorato dalla critica e sbeffeggiato con cattiveria e sarcasmo dalle riviste di largo consumo. Al contrario, il riscontro del pubblico era stato senza precedenti, con milioni di copie vendute [1], serie televisive, film per il grande schermo e riduzioni a fumetti. Deep Love era diventato in breve tempo un fenomeno di culto tra i giovanissimi, nonché fonte di grandi e inaspettati guadagni per l’autore. Nonostante un intreccio narrativo discutibile e raffazzonato (un mix esagerato di sesso, buonismo e lacrime), Deep Love viene considerato il primo keitai shōsetsu al mondo, in altre parole, il primo romanzo scritto e letto attraverso l’utilizzo di un telefono cellulare. La prassi vuole che soltanto dopo il successo in rete, questi romanzi vengano poi pubblicati anche in formato cartaceo. La prima opera a beneficiare di questa doppia visibilità è stata Deep Love, seguita a ruota da Motto, ikitai…, una storia ascrivibile al genere horror.
Inutile
dirlo, il plot ricorda molto da vicino Ringu
(The ring, 1991), il romanzo di Suzuki Kōji (n.1957) adattato più volte per il
grande schermo (1998, 1999, 2000), con remake in Corea (1999) e in America
(2002, 2005) e che ancora in quegli anni continuava a mietere successi. Il
leitmotiv sembra essere lo stesso, con le opportune variazioni, si intende: dopo
aver ricevuto e letto una misteriosa e-mail con oggetto “down”, le vittime si
vedono mutilate di una parte del proprio corpo, senza provare alcun dolore e
senza perdere sangue. Le ricerche conducono al cellulare di Kanno Teru, un
giovane ed esperto programmatore che sembra però essere completamente estraneo
ai fatti. Eppure, le parti recise dei corpi si materializzano inspiegabilmente nel suo frigorifero. Nel tentativo di risolvere il caso, entrano in scena un
detective, una liceale e un collega rivale di Teru. Poi il colpo di scena: lo spirito della ex
fidanzata del ragazzo vuole costruirsi un corpo con le parti sottratte alle vittime e ordina a Teru di completare un programma sulle AI (Artificial
Intelligence) per renderla del tutto identica a un essere umano. Per lei è
finalmente arrivato il momento della vendetta. La seconda parte del manga, invece, prende il via da una serie di omicidi legati
a uno strano sito internet chiamato “L’arca di Noè”. A muovere le fila di
questa sanguinosa carneficina c’è un misterioso personaggio chiamato “Gesù”,
intenzionato a purificare la Terra dalle persone malvagie.
La trama, come si è potuto evincere dal breve riassunto proposto, non è particolarmente originale, anzi, sembra essere un concentrato di espedienti narrativi già noti. Qualche esempio. Il computer
che improvvisamente prende vita ricorda molto da vicino quello di Watashi
wa Shingo (Io sono Shingo, 1982-86) di Umezu Kazuo (n.1936); l’idea dello
sviluppo di un programma per le intelligenze artificiali ricorda, invece, il
film A.I. di Steven Spielberg uscito
nel 2001; ancora, la caratterizzazione di un personaggio come “Gesù” sembra
essere ricalcata su quella del protagonista di Desu nōto (Death note), celebre
manga del duo Ōba Tsugumi e Obata Takeshi (n.1969), la cui serializzazione era già
iniziata nel dicembre del 2003 (Motto,
ikitai…, invece, viene pubblicato in formato cartaceo nel dicembre del
2004, con nuovi personaggi e profonde differenze a livello narrativo rispetto alla prima versione sul web dal titolo “Meiru”).
Il romanzo ha tanti
difetti - non lo si può negare - ma non si può neanche non tener conto di un dato di fatto: è stato il libro più venduto del 2005, un'opera, quindi, potenzialmente remunerativa anche su altri canali. Allora perché affidare la versione a fumetti [2] (peraltro
apparsa sulla famosa rivista «Shūkan
Young Jump») a un’artista tutt’altro che brillante come Naka Masato
(n.1970)? Una scelta che lascia francamente perplessi. Data l’impossibilità di
riprodurre suoni e urla, un manga horror deve necessariamente puntare su uno
stile impeccabile, inquietante, che riesca a scuotere il lettore a livello
visivo. Leggendo Motto, ikitai…, invece, si ha come
l’impressione di non stringere tra le mani un manga horror: stile insipido,
disegni grossolani, sfondi assenti o appena abbozzati, prevalere dei toni
chiari su quelli scuri. Due/tre tavole a effetto non bastano a risollevare le sorti
di un titolo mediocre. Non c'è traccia di originalità in quest'opera che annoia e non avvince: è soltanto un pastrocchio confuso che tenta di pescare a caso in un calderone pieno zeppo di idee. Completano il quadro: dialoghi imbevuti di retorica,
sviluppo narrativo troppo veloce e storie improbabili al limite del ridicolo. Sia
il romanzo che la versione a fumetti sono, a mio avviso, trascurabili, anonimi
e poco convincenti. Peccato, perché l’edizione della Shūeisha è fatta proprio
bene. Smoke gets in your eyes.
[1] Stando a un
articolo dello Yomiuri Shinbun
(16/03/2005), la serie completa di Deep
Love ha venduto qualcosa come tre milioni duecentomila copie fino ai primi
mesi del 2005.
[2]
Esiste
un’altra versione a fumetti pubblicata in contemporanea sulle pagine di «Margaret» e disegnata da Andō Yuki. La
storia è la stessa ma è raccontata dal punto di vista di un altro personaggio,
la liceale Mayumi.

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