Autore: Saitō Chiho
Anno di pubblicazione: 1999
Numero di volumi: 2
Edizione consultata: Flower
Comics
Editore: Shōgakukan
Quel giorno d’estate
mi smarrii nel profondo di una foresta
mentre inseguivo un gattino nero.
Era l’estate dei miei nove anni,
quella in cui persi ogni cosa,
il mio nome, i miei ricordi, la mia felicità.
Dopo la morte dei
genitori avvenuta in un tragico incidente automobilistico, Setsuna trascorre gli ultimi quindici anni della sua vita in un sanatorio a Karuizawa. Non rammenta
più nulla del suo passato e tutto le appare confuso e indistinto. Come se non
bastasse, è tormentata da frequenti incubi notturni che sembrano collegati alla sua infanzia, a quel giorno d’estate quando un gattino nero (variante oscura del
Bianconiglio di Alice in Wonderland) l’aveva
condotta in una villa nel fitto di un bosco. La scena è sempre la stessa: lei
da bambina che assiste sconvolta a un’orgia in maschera. Una volta scoperta,
viene inseguita e aggredita dai quattro gaudenti trasformatisi in pantere. Poi
l’incubo finisce. Chi sono quelle persone? Che nesso hanno con la morte dei
suoi genitori? A poco a poco, i ricordi si fanno sempre più nitidi e gettano
una nuova luce sul passato. Il ritrovamento della sua vecchia macchina
fotografica, poi, le permette di identificare le persone coinvolte nell’orgia e
che, secondo lei, sarebbero responsabili della morte dei suoi genitori. Il
piano di vendetta ha così inizio.
Un lettore preparato sa cosa aspettarsi da un manga di Saitō Chiho, autrice tradotta con discreto successo anche in Italia dalla fine degli anni Novanta. La sua opera di debutto, Ken to madomoazeru (La spada e la mademoiselle, 1982), è un breve racconto in cui è possibile evidenziare temi, personaggi e modalità espressive a lei tanto cari: narrativa rosa di ambientazione storica, intrighi e triangoli sentimentali, eroine moderne fragili ma incredibilmente caparbie e tenaci [1]. Da allora, sono passati esattamente trent’anni e per la Saitō nulla è cambiato. Stessa casa editrice, stesse riviste, stesso pubblico (fedele e costante nel tempo), stesse storie e stesse protagoniste. Anche il suo stile di disegno sembra non aver subito grandi cambiamenti e quelli che all’inizio potevano essere considerati difetti e mancanze (poca armonia nelle proporzioni fisiche dei personaggi maschili e assenza di sfondi) sono diventati col tempo tratti distintivi di uno stile ormai riconoscibilissimo, garbato e lezioso soprattutto nelle illustrazioni a colori. Questo Redī masukarēdo (Lady Masquerade, 1999), pubblicato sulle pagine di «Petit Comic», non fa eccezione e si inserisce, senza infamia e senza lode, in un catalogo fin troppo vasto e omogeneo. Formula vincente non si cambia, d’accordo, ma sarebbe lecito chiedersi cosa spinga un lettore ad appassionarsi alle opere della Saitō. Di sicuro, non andrebbe sottovaluta la funzione catartica di molti suoi manga - conditio sine qua non imprescindibile nel genere dello shōjo manga - e attraverso la quale la lettrice media otterrebbe una totale purificazione dalle passioni. Ovviamente, con una storia d’amore combattuta e sofferta.
Un lettore preparato sa cosa aspettarsi da un manga di Saitō Chiho, autrice tradotta con discreto successo anche in Italia dalla fine degli anni Novanta. La sua opera di debutto, Ken to madomoazeru (La spada e la mademoiselle, 1982), è un breve racconto in cui è possibile evidenziare temi, personaggi e modalità espressive a lei tanto cari: narrativa rosa di ambientazione storica, intrighi e triangoli sentimentali, eroine moderne fragili ma incredibilmente caparbie e tenaci [1]. Da allora, sono passati esattamente trent’anni e per la Saitō nulla è cambiato. Stessa casa editrice, stesse riviste, stesso pubblico (fedele e costante nel tempo), stesse storie e stesse protagoniste. Anche il suo stile di disegno sembra non aver subito grandi cambiamenti e quelli che all’inizio potevano essere considerati difetti e mancanze (poca armonia nelle proporzioni fisiche dei personaggi maschili e assenza di sfondi) sono diventati col tempo tratti distintivi di uno stile ormai riconoscibilissimo, garbato e lezioso soprattutto nelle illustrazioni a colori. Questo Redī masukarēdo (Lady Masquerade, 1999), pubblicato sulle pagine di «Petit Comic», non fa eccezione e si inserisce, senza infamia e senza lode, in un catalogo fin troppo vasto e omogeneo. Formula vincente non si cambia, d’accordo, ma sarebbe lecito chiedersi cosa spinga un lettore ad appassionarsi alle opere della Saitō. Di sicuro, non andrebbe sottovaluta la funzione catartica di molti suoi manga - conditio sine qua non imprescindibile nel genere dello shōjo manga - e attraverso la quale la lettrice media otterrebbe una totale purificazione dalle passioni. Ovviamente, con una storia d’amore combattuta e sofferta.
Anche in questo Lady Masquerade, la Saitō si dimostra incapace di gestire al meglio la trama, di infondere credibilità a una storia che si regge (a stento) su una serie infinita di colpi di scena. A farne le spese, quindi, è un plot in cui predominano situazioni imprevedibili e illogiche, bruschi cambi di scena e salti temporali che ne azzerano la percezione. Il tutto viene poi raccontato con eccessiva enfasi sia nello stile che nei dialoghi. Non deve stupire, quindi, che le vicende di questo Lady Masquerade trovino un’immediata risoluzione nonostante la loro apparente complessità. Un problema insormontabile, insomma, si risolve voltando semplicemente pagina. Come se tutto ciò non bastasse, la Saitō sembra più interessata a creare una storia che mescoli romanticismo spicciolo, suspense e personaggi accattivanti, più che nel dare coerenza alla struttura narrativa. Trattandosi,
poi, di un josei manga, l’autrice si
prende la libertà di trattare temi spinosi (incesto, violenza, omicidi) con un filo di morbosità di troppo e peccando di superficialità e buonismo.
Un’opera minore dell’autrice, di certo trascurabile, con un epilogo tanto scontato quanto rassicurante per le lettrici: “Finalmente, l’incubo è finito”.
Un’opera minore dell’autrice, di certo trascurabile, con un epilogo tanto scontato quanto rassicurante per le lettrici: “Finalmente, l’incubo è finito”.
[1] Si pensi a Koto di Warutsu wa shiroi doresu de (Un valzer
in abito bianco, 1990) e a Kanon nell’omonimo manga del 1995, vincitore della
42 edizione del Premio Manga Shōgakukan (Shōgakukan
manga-shō) nel 1996.



Non sono mai riuscito a capire il successo qui in Italia della Saito. Ho sempre trovato le sue storie un po' sopra le righe e lo stile di disegno piuttosto mediocre.
RispondiEliminaBella recensione, complimenti!
(Moreno)
Grazie, Moreno!
EliminaLa Saito non mi ha mai entusiasmato (Utena, La Madonna della Ghirlanda, etc..), eppure "Valmont" - una delle sue ultime fatiche - mi è piaciuta molto. Prova a dargli un'occhiata!