Autore: Maruo Suehiro
Anno di pubblicazione: 2009
Numero di volumi: 1
Edizione consultata: Beam Comics
Editore: Enterbrain
«Signora Sunaga, ho sentito che suo marito tornerà a casa»
«Sì, ma è gravemente ferito»
«Gravemente ferito? Sempre meglio che morto in guerra, no? Che fortuna, signora Sunaga! Sono proprio invidiosa!»
La giovane e avvenente Sunaga Tokiko non ha ancora rivisto il marito dopo il rimpatrio. E’ tornato vivo da una spedizione in Siberia e i giornali non fanno altro che tessere le lodi del valoroso tenente Sunaga. Tokiko, felice di non essere diventata vedova, si rallegra della notizia, ma non immagina quali siano le reali condizioni del marito.
«Non si spaventi», le disse un distinto ufficiale medico con sguardo compassionevole. Nel mentre, sollevò con cura le bianche lenzuola. Adagiato su quel letto, era simile a uno spettro di un brutto sogno, senza braccia e senza gambe, un inquietante tronco avvolto nelle bende. (…) La donna avvertì come un capogiro e si accovacciò ai piedi del letto. Era sopraffatta dalla tristezza e, senza badare a chi le stava attorno, si abbandonò alle grida e al pianto, tanto da spingere l’ufficiale medico e l’infermiera a condurla in una camera separata. Per lungo tempo, la donna continuò a piangere versando lacrime su un tavolo leggermente macchiato. «E’ davvero un miracolo» (…) Le ripetevano in continuazione la parola “miracolo”, ma lei non sapeva se gioirne o rattristarsene.[1]
Affranta dal dolore e dalla disperazione, Tokiko si prende carico del marito invalido, un fagotto di carne che non può né parlare né ascoltare. Per tre lunghi anni diventa la sua servizievole infermiera, divisa tra l’affetto e i ricordi del suo virile marito e il ribrezzo per quella presenza inquietante che rantola e striscia sui tatami simile a un bruco. Eppure è lo stesso uomo. Abbandonato dalla sua famiglia, il tenente Sunaga è diventato una bestia insaziabile e affamata, ingorda di sesso e geloso della moglie. Dal canto suo, Tokiko lo asseconda nelle sue perversioni e si meraviglia del piacere estremo che lei stessa prova in quei momenti, nell’osservare quell’essere impotente che solo lei può dominare. Alla fine, l’uomo scompare, lasciandosi cadere in un pozzo oscuro. In quel momento, nella mente di Tokiko fluttua un’immagine precisa: in una notte buia, un bruco si trascina su un ramo di un albero e, in prossimità della sua punta, cade in uno spazio oscuro e sconfinato. Nella realtà, Tokiko sente soltanto il rumore sordo di un corpo che cade nell’acqua.
Non è la prima volta che Maruo Suehiro (n.1956) si cimenta con un testo dello scrittore Edogawa Ranpo (1894-1965): se nel 2008 aveva realizzato per la rivista «Comic Beam» una versione a fumetti del romanzo Panoramatō kitan (La strana storia dell’isola Panorama), nel 2009 si affida a un racconto breve dal titolo Imomushi (Il bruco), pubblicato per la prima volta sulla rivista «Shinseinen» nel gennaio del 1929. I temi che Edogawa sceglie per questo suo racconto sembrano combaciare perfettamente con la poetica di Maruo e appaiono incredibilmente affini alle atmosfere dei suoi manga. Se con La strana storia dell’isola Panorama Maruo mette da parte le immagini raccapriccianti e intrise di sangue in favore di un’estetica più elegante e raffinata, in Imomushi sembra aver ritrovato il gusto per il macabro e per le esagerazione visive (si pensi alla cruenta scena dell’accecamento). La regia inquadra lo sguardo sprezzante di Tokiko, i tentativi del tenente di comunicare con lei stringendo tra i denti una matita, per poi fare un close up sul suo volto orribilmente sfigurato, senza naso e senza orecchie, e sulle sue vistose cicatrici. Le tavole indugiano sugli arti amputati, sugli escrementi dell’uomo, sulla sua bocca sdentata e ributtante, su quegli occhi che sono la sua unica finestra sul mondo. E poi, incubi, teschi, insetti, embrioni umani, sangue, corpi smembrati: elementi non solo decorativi, ma carichi di simbolismi e metafore. Lì dove Edogawa lascia tutto in sospeso, Maruo riempie quei silenzi abbandonandosi alle sue visioni.
È un Maruo in piena forma quello di Imomushi, graficamente impeccabile, minuzioso fin nei minimi dettagli, elegante e raffinato nonostante il prevelare di toni macabri e grotteschi. Certo, siamo lontani dalle efferatezze in stile Grand Guignol a cui ci aveva abituato il “de Sade dei manga”, ma pur nella sua brevità, Imomushi riconferma ancora una volta (come se ce ne fosse bisogno) il talento immenso di un’artista controverso e geniale.
[1] La presente traduzione è stata condotta sul volume «Nihon tantei shōsetsu zenshū 2- Edogawa Ranpo-shū», Tōkyō Sōgensha, 1984, pp. 422-423.


mamma mia, questo autore non riuscirò mai a leggerlo senza farmi venire il voltastomaco. sarà interessante quanto si vuole, ma io non ce la posso fare a reggere certa roba sua. ci ho provato solo una volta, ma non ricordo neanche che roba era... @_@"
RispondiEliminaHo visto il film ispirato allo stesso racconto di Edogawa Ranpo, Caterpillar di Kôji Wakamatsu, è davvero forte come immagini e tematiche, ma la condanna alla guerra e al militarismo arriva dritta al cuore. Non conoscevo questo manga tratto dalla stessa storia, buono a sapersi!
RispondiEliminaClaudia> In effetti, bisogna avere del fegato per leggere delle opere di Maruo, soprattutto le prime. Questo "Imomushi" è in bilico tra gli eccessi di alcuni manga come "Yume no Qsaku" e "Barairo no kaibutsu", ma non così tanto da arrivare a distogliere lo sguardo dalle pagine. Alcune scene, però, risultano oggettivamente forti...
RispondiEliminaautomaticjoy> Anche nel manga di Maruo non mancano accenni al militarismo e all'insensato nazionalismo degli anni Venti. Se ti è piaciuto il film di Wakamatsu, anche il manga di Maruo potrebbe piacerti. Te lo consiglio vivamente!