Autore: Tsunoda Jirō
Anno di pubblicazione: 1973
Numero di volumi: 1
Edizione consultata: Shōnen Champion Comics
Editore: Akita Shoten
Tsunoda Jirō (n.1936) è un artista tanto osannato in patria, quanto sconosciuto all’estero. Una breve presentazione, quindi, è d’obbligo. Dapprima allievo di Shimada Keizō (1900-1973), Tsunoda - figura molto vicina al gruppo di Tokiwasō - esordisce come professionista nel 1955 con un manga dal titolo Shin Momotarō (Il nuovo Momotarō) per la rivista «Manga Shōnen». Prima di legare il proprio nome al genere horror/occulto, Tsunoda attraversa quattro fasi evolutive che possono essere così schematizzate:
- 1958-1963: una prima popolarità la raggiunge sulle riviste di shōjo manga (tra tutte «Ribon» e «Nakayoshi») con Rumichan kyōshitsu (La classe di Rumi-chan, 1958) e Barairo no umi (Un mare dal colore delle rose, 1961). Un percorso comune a molti altri mangaka come Matsumoto Reiji (n.1938) e Chiba Tetsuya (n.1939), artisti che negli anni Cinquanta hanno fornito un personale contributo alle appena nate riviste di manga per fanciulle.
- 1964-1969: si dedica con altrettanto successo al gag manga con Ninja Awatemaru (Il ninja Awatemaru, 1965-68), pubblicato sulla rivista «Shōnen King» e inizia a interessarsi al mistero e al soprannaturale con qualche racconto breve: tra tutti, Konjiki inu (Il cane d’oro, 1968).
- 1969-1973: abbandonato il mondo del gag manga che pur gli aveva dato tanta popolarità, Tsunoda si rivolge con più convinzione al fumetto a tematica sportiva e si allinea al trend imperante: sudore, sacrifici estremi e abnegazione totale alla disciplina. In questa fase si occupa soltanto della parte grafica, lavorando in coppia con validi sceneggiatori: si ricordano Niji o yobu ken (1969-71) e Karate baka ichidai (1971-73), manga sul karate con testi di Kajiwara Ikki (1936-87).
- 1973-2006: l’ultima fase si apre proprio con Bōrei gakkyū (Una classe di spettri), pubblicato su «Shūkan Shōnen Champion» nel 1973. Esperto conoscitore del mondo dell’occulto, del paranormale e dello spiritismo, Tsunoda mette a frutto i suoi studi realizzando manga incentrati su questi temi: si pensi a Ushiro no Hyakutarō (Hyakutarō lo spirito guardiano, 1973-76) e Kyōfu Shinbun (Il quotidiano del terrore, 1973-76).
Nella carriera di Tsunoda Jirō, Bōrei gakkyū è il punto di partenza per una riflessione disimpegnata e al tempo stesso conoscitiva sul mondo dell’occulto, tra leggende metropolitane e puntuali riferimenti a un sostanzioso corpus letterario autoctono (Tsurezuregusa, Hyaku monogatari e Yamato Kaiiki): una scelta alla cui base si nasconde la voglia di dare credibilità all’impianto narrativo che risulta, quindi, convincente e di grande impatto grafico e registico. Nell’incipit, Tsunoda si rivolge ai propri giovani lettori con queste parole:
Ehi, tu…! Ti è mai capitato di sentire improvvisamente un brivido di freddo lungo la schiena?
Di avvertire, quando di notte sei tutto solo nella tua stanza a studiare, la presenza di qualcun altro alle tue spalle? Di camminare da solo in una strada buia e sentire il rumore dei passi di qualcuno che sembrano seguirti? Di svegliarti nel bel mezzo di una notte insonne e avere la sensazione di qualcuno che ti opprime sul petto sopra il futon? (…) Yūrei, yōkai, fuochi fatui, anime… non dovrebbero esistere! (…) Sono davvero menzogne? Tutte storie inventate? Eppure, sono tante le persone che giurano di aver visto un bōrei.
Bōrei è la parola chiave per individuare il leitmotiv di tre dei cinque racconti (negli altri si parla della “maledizione del bruco verde” che colpisce chi ne mangia uno e di yōkai con la figura del nekomata). Bōrei significa letteralmente “spirito di un defunto, di una persona deceduta” e nel manga si ricollega a tre spiriti che, per un motivo o per l’altro, non abbandonano il luogo in cui sono morti: lo spirito di una ragazza suicida in cerca di amici, quello di una professoressa affogata nella piscina della scuola, quello di un ragazzo che si vendica di un bullo trascinandolo dentro un vecchio bagno alla turca. Per raccontare queste storie, Tsunoda Jirō non si serve di immagini crude, disturbanti e violente come il collega Umezu Kazuo (n.1936), ma si affida a un tratto pulito, a tratti graffiante, per nulla eccessivo e sorprendentemente efficace in alcune tavole. La struttura narrativa, semplice e ben orchestrata, può coinvolgere anche un pubblico di oggi, ma non si nasconde che soprattutto in alcune storie (tra tutte Mushi, “Vermi”) l’identificazione tra il lettore di allora e il protagonista poteva essere immediata. Come ricorda Tsuruta Norio (n.1960), regista della versione cinematografica di questo manga, ai tempi della serializzazione non era affatto inconsueto mangiare accidentalmente i bruchi verdi che si nascondevano nella verdura: leggere la storia di un qualsiasi adolescente colpito da una maledizione per averne mangiato uno (ma anche per averne seviziati altri) offriva uno scenario plausibile e al contempo ripugnante. Ecco perché sempre secondo Tsuruta, la “paura” che avvince i lettori di Bōrei gakkyū è di due tipi: “una paura che abbatte il confine tra finzione e realtà” e che inscena una fattibilità reale tramite una storia inventata, e “una paura irrazionale” scaturita da un episodio imprevisto che sconvolge la vita di un tranquillo studente come tanti. Una paura che si annida dentro di noi, pronta ad esplodere da un momento all’altro.



ti ho lasciato un premio sul mio blog ^^ ormai sono unastanzapienadimanga-dipendente XD
RispondiEliminaGrazie tante per il premio e per le belle parole che hai scritto sul tuo blog. Hai visto le novità in arrivo che ho anticipato sulla pagina di Facebook? Continua a seguirmi e grazie mille per il supporto!
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