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sabato 24 dicembre 2011

"Boku no hatsukoi o kimi ni sasagu" di Aoki Kotomi



Autore: Aoki Kotomi
Anno di pubblicazione: 2005
Numero di volumi: 12
Edizione consultata: Sho-Comi Flower Comics
Editore: Shōgakukan


Entrando in uno dei tanti konbini (convenience store) sparsi un po’ ovunque in Giappone, non si può rimanere indifferenti di fronte alla mole di riviste esposta negli scaffali. Tra queste, quelle di shōjo manga occupano un'area di tutto rispetto, facilmente identificabile dalle tinte pastello che predominano sulle copertine. «Shōjo Comic» (chiamata anche "Sho-Comi") è una delle riviste di punta della Shōgakukan sulle cui pagine sono state pubblicate dal 1968 le opere di Hagio Moto (n.1949), Takemiya Keiko (n.1950), Adachi Mitsuru (n.1951) e Igarashi Yumiko (n.1950). Nell'ultimo decennio, però, la rivista si è presentata al suo pubblico con nuovi contenuti, scatenando accesi dibattiti sulla presenza - legittima o meno - di scene erotiche in pubblicazioni destinate a un pubblico minorenne. Autrici come Shinjō Mayu (n.1973), Kitagawa Miyuki (n.1967), Minami Kanan (n.1979) e Aoki Kotomi (n.1980) hanno costruito parte della propria popolarità grazie a una serie di manga dalla struttura narrativa debole e dal disegno poco curato nelle anatomie (si pensi a Shinjō Mayu e Kitagawa Miyuki), ma volutamente morbosi nella costruzione dell'intreccio, tra improbabili incesti e inverosimili relazioni più erotiche che sentimentali. L'immagine femminile che emerge in queste opere – e che in teoria dovrebbe raffigurare un modello cui ispirarsi o nel quale la lettrice media potrebbe identificarsi - ne esce malconcia e appiattita: ragazze sottomesse ai capricci del fidanzato di turno, adolescenti impassibili di fronte ai soprusi e alle violenze, ma sempre pronte a versare lacrime alla prima occasione. Il coro di proteste non si è fatto attendere troppo. Complici le molte lettere di genitori preoccupati dai contenuti della rivista, si è mosso anche il PTA giapponese che nel 2007 ha piazzato al primo posto tra le “riviste che non vorresti far leggere a un bambino” proprio «Shōjo Comic».

Aoki Kotomi non è certo rimasta fuori da questo polverone mediatico. Il suo Boku wa imōto ni koi o suru (Mi sono innamorato della mia sorellina, 2003-05) da una parte macinava popolarità e riscontri di vendita, dall'altra alimentava la polemica con la storia di un incesto tra fratello e sorella. Nel mezzo di un plot facilmente intuibile, il manga procedeva spedito (in tutto dieci volumi) senza uno straccio di approfondimento psicologico, ma collezionando solo siparietti erotici alquanto discutibili. Si può ironizzare sul fatto che tra gli anni Sessanta e Ottanta la parola “hatsukoi” (“primo amore”) fosse onnipresente nei titoli degli shōjo manga, sostituita in tempi recenti da “hatsutaiken” (“prima volta”) o dal ben più esplicito “sex”.  Sta di fatto che dopo Boku wa imōto ni koi o suru, la Aoki si è ritrovata impegnata in un lungo progetto dal titolo Boku no hatsukoi o kimi ni sasagu (Ti faccio dono del mio primo amore, 2005-08), un successo in Giappone da sei milioni di copie, ma anche un best-seller all’estero col titolo di Secret Unrequited Love. Dopo la bufera, quindi, si ritorna a parlare di “hatsukoi”, anche se la Aoki non se l’è sentita di abbandonare del tutto quel format di successo. Nonostante le atmosfere del nuovo manga facciano a meno di una banale ed esibita sessualità come in passato, la Aoki si mantiene sul filo del rasoio costruendo a tavolino un piccolo crossover con la sua precedente serie: accontenta le fan orfane di  Boku wa imōto ni koi o suru, ma allo stesso tempo pubblicizza alle sue nuove lettrici un suo vecchio manga che forse non tutte avevano letto. La storia – che ha molto in comune con i vari keitai shōsetsu (o “romanzi su cellulare”), tanto di moda in quegli anni – è incentrata sulla figura di due bambini, Mayu e Takuma. Entrambi hanno otto anni e Takuma, in cura dal padre di lei, soffre di una malattia al cuore che difficilmente gli permetterà di vivere oltre i vent’anni: Mayu e Takuma crescono insieme, si vogliono bene e si promettono amore eterno. Quando Takuma scopre che la sua esistenza è soggetta a un time limit, decide di allontanarsi da Mayu, convinto che restando con lei non farebbe altro che farla soffrire. Insomma, il classico e abusato schema “ti amo, ma ti lascio”, “ti voglio, ma non posso amarti”, il tutto inframmezzato da rossori, riconciliazioni, morte, scene tra i banchi di scuola, fraintendimenti e quant’altro.
Il manga, quindi, non è che un susseguirsi di cliché, di sottotrame che sanno di visto e di rivisto, di una banalità di fondo che aleggia dalla prima all’ultima pagina. La Aoki non possiede, poi, uno stile degno di nota, ancora acerbo su molti fronti (le proporzioni del corpo umano su tutte), così ricco di dettagli nell’abbigliamento quanto privo di elementi essenziali negli sfondi (spesso campiture totalmente nere o bianche decorate con glitter, cuori e sfere luminose). Forse è proprio per questo motivo che l’autrice insiste sui primi piani dei personaggi, con quei loro occhi esageratamente grandi e ricolmi di lacrime e su quelle espressioni in bilico tra pudore e tristezza. Se in un primo momento l’autrice gioca la sua carta sui patemi di una possibile morte imminente, in seguito gioca il jolly di un’operazione chirurgica che potrebbe salvare la vita a Takuma. Il filo conduttore della serie è semplice: riuscirà Takuma a superare l’intervento? Non è dato saperlo visto che le ultime pagine aprono le porte per un finale sospeso a cui soltanto un film con attori in carne e ossa ha dato una risposta. Ma siamo sicuri che per raccontare questa storia erano necessari dodici volumi? Il risultato finale non è dei migliori. Sceneggiatura debole e intrisa di patetismi, introspezioni psicologiche assenti, sviluppo narrativo veloce, romanticismo spicciolo e banale commercializzazione del dolore. L’equazione finale che sembra suggerire questo manga risponde al principio dell’onamida chōdai (letteralmente “dammi le tue lacrime”), in sostanza, il ricorso a storie strappalacrime (amori sofferti o malattie incurabili) creati ad hoc per accalappiare il grande pubblico. Un tacito accordo tra l’autore di turno e i suoi lettori: “se mi compri il volume, ti faccio piangere”.



3 commenti:

  1. mi fanno una tristezza estrema questo genere di storie, queste fanciulle che si fanno pestare la faccia dal primo idiota che passa, le trame inesistenti che sono solo la scusa per disegnare scene vagamente porno.
    mi sono sempre tenuta alla larga da questo genere, non mi interessa e non mi piace, nemmeno come lettura da bagno, ma non capisco come mai per anni e ancora in italia prospera così tanto, mentre ci vuole "coraggio" a pubblicare uno shoujo disegnato prima degli anni '90. se il coraggio manca, non scarseggia il cattivo gusto, su questo non ci sono dubbi, né tanto meno l'indecenza, perché solo di questo si può parlare quando si presenta ad un pubblico femminile adolescente *questo* tipo di storia come fulgido esempio di appassionata storia d'amore.
    spero che starcomics in primis la smetta con queste schifezze e viri verso altri titoli, magari anche leggeri, ma non necessariamente malfatti.

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  2. Ciao Caclina! Grazie per il tuo commento sul blog.
    Il successo dei cosiddetti "smut" ha indubbiamente caratterizzato gran parte dell'ultimo decennio e sembra, ad oggi, continuare a crescere. La Aoki è un caso particolare: questo “Boku no hatsukoi o kimi ni sasagu” rifiuta quella sessualità gratuita che caratterizzava il lavoro precedente, ma come ho detto, si perde in altrettante banalità e svenevolezze.
    Quello che mi chiedo è perché le adolescenti di oggi trovano interesse in questo genere di storie. Cosa le spinge a leggere (e ad appassionarsi) a questi manga? Come fenomeno editoriale non andrebbe affatto sottovalutato, anzi rappresenta una “tendenza” di questi anni che mette in luce i gusti dei lettori. O quantomeno, di una parte dei lettori.
    Perché vengono pubblicati in Italia? Forse perché hanno successo in Giappone e si crede che possano fare altrettanto anche qui da noi. Del resto, meglio fare centro con un titolo di sicura presa già noto grazie al web. Certo è che se il pubblico italico sembra gradire il genere, difficilmente le case editrici si orienteranno verso altre scelte….Resta, quindi, l’amarezza di un lettore più esigente che non si accontenta del blockbuster di turno.
    A proposito, il fenomeno “smut” sembra riguardare soltanto l’ultimo decennio, ma a mio avviso, era già presente in Giappone con altre modalità (ma con stessi temi) già verso gli anni Ottanta (la serie “Cobalto bunko” - a cui forse dedicherò un post - è un valido esempio).
    Per gusto personale, credo di aver letto a sufficienza.

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  3. non so sinceramente cosa ci sia di tanto affascinante, però a leggere le trame di certi harmony non mi sembra ci siano grandi differenze e novità.
    di donne che sognano l'uomo bestia che poi si trasforma in principe ce ne sono troppe, ed è inutile stare a parlare del perché di questo tipo di fantasie.
    il problema è che, tolta la fantasticheria erotica, nella pratica una cosa del genere sarebbe senza dubbio poco piacevole per chiunque, ciononostante si continua a sognare.
    agli uomini le conigliette servili e alle fanciulle i palpeggiatori folli.
    solo che non mi piace affatto che "shoujo" rischi di diventare sinonimo di "romanzetto rosa da quattro soldi".

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